Il marketing vive di sigle e di acronimi: dopo B2B, B2C e B2G, oggi si parla insistentemente di H2H marketing come di un concept, o meglio di una strategia efficace per costruire una relazione sana e longeva con i propri clienti.
H2H Marketing, ovvero il marketing conversazionale con un tocco human
Quando si parla di B2B, per esempio, il marketing identifica una certa target audience, che poi viene ulteriormente segmentata in personas (solitamente, i decisori aziendali) verso le quali vengono indirizzate campagne, contenuti, messaggi e svariate altre attività. Ma c’è un elemento che accomuna tutte le audience cui il marketing conversazionale si rivolge, a prescindere dal fatto che si tratti di enti pubblici (B2G), di soggetti economici (B2B) o fisici (B2C): alla fine, tutti i messaggi sono indirizzati ad esseri umani e tutti i decisori sono (almeno, al momento) esseri umani. H2H Marketing è una sorta di sovrastruttura che completa le logiche del marketing tradizionale, a prescindere dal proprio target ideale: le attività dedicate a un IT manager saranno sempre diverse da quelle indirizzate a un giovane sportivo, ma in entrambi i casi c’è un fattore umano, ci sono delle emozioni di cui tener conto, poiché tutto ciò ha un peso non indifferente sul comportamento d’acquisto.
CX Conversazionale alla base dell’H2H Marketing
Alla base dell’H2H Marketing non vi è semplicemente un linguaggio diretto e comprensibile, ma soprattutto l’elemento conversazionale. A ben vedere, ogni processo d’acquisto si è sempre basato su un rapporto tra persone: nel B2B, per esempio, il contatto diretto tra buyer e venditore è fondamentale per instaurare un rapporto di fiducia, per trasmettere i valori dell’azienda e mostrarsi proattivi nei confronti delle esigenze e dei pain del cliente. Per tutto il resto, il buyer ha tanti altri canali informativi, ma per sviluppare concetti come fiducia, empatia e collaborazione, nulla sostituisce una conversazione, un contatto diretto.
H2H Marketing nel mondo digitale e la umanizzazione dei bot
Trasposto nel mondo del marketing digitale, l’H2H Marketing non è una sfida da poco: non esiste, infatti, una ricetta preconfezionata. Ciò che è fondamentale, sia a livello strategico che operativo, è tenere sempre a mente l’impatto emozionale dei messaggi, che potrebbe essere la vera leva del successo (ecco perché lo storytelling va così tanto di moda).
Per quanto concerne l’aspetto conversazionale, il concetto cui tendere è quello della sempre maggiore umanizzazione dei bot, laddove in questo termine (bot) rientra ogni forma di interazione automatizzata con un’azienda, a prescindere dal canale (testo, voce). La realtà è che ormai i bot sono una parte integrante del marketing di moltissime imprese: l’effetto saving da un lato e la moltiplicazione della produttività dall’altro l’hanno reso un pilastro del marketing moderno nonché l’applicazione più diffusa delle tecniche di Natural Language Processing.
Ciò non toglie che, in media, i passi avanti da effettuare in chiave di H2H Marketing siano diversi: molti chatbot si limitano ancora a rispondere in modo standard a domande predefinite, faticano nel comprendere un linguaggio fatto di espressioni gergali e modi di dire e non riescono a gestire le situazioni complesse. Intraprendere un percorso di umanizzazione del bot significa riuscire a fondere i suoi indubbi vantaggi (velocità, assenza di code, operatività 24/7), con quel tocco human che li renderebbe meno freddi e impersonali.
A tal fine, si può procedere per gradi: dare al bot un nome, fare in modo che risponda con un linguaggio semplice e diretto, mentre la tecnologia sottostante (NLP e altre tecniche di AI) non si limita a migliorare la comprensione dell’interlocutore, ma anche l’intent delle sue richieste, il sentiment dietro certe affermazioni, regolandosi di conseguenza per costruire un certo di livello di fiducia ed empatia, che può sempre essere migliorata dagli operatori in carne ed ossa che sovrintendono i processi e possono intervenire per elevare il livello della conversazione.
L’efficacia del bot, infine, è strettamente connessa alla conoscenza del contesto. Per creare engagement, infatti, il chatbot deve conoscere la persona con cui interagisce: la sua storia di relazione con il brand, lo storico degli acquisti, eventuali altre interazioni, se ha mai restituito un prodotto, che tipo di richieste ha fatto al contact center, come sono state gestite e via dicendo. Miscelando le informazioni relative allo specifico cliente con la conoscenza dei prodotti e dei servizi offerti dall’azienda, il bot acquisisce una maggiore consapevolezza e può costruire un rapporto più stretto ed efficace con il suo interlocutore: può indirizzarlo verso la soluzione di un problema, ma soprattutto consigliarlo in modo efficace e personalizzato, da cui importanti benefici in termini di retention.